Napule è mille rummure…

Napule è mille culure ma anche Napule è mille rummure: la sirena dell’ambulanza che deve arrivare alla zona ospedaliera, i bambini che chiamano il rigore con le magliette di Hamsik più grandi di tre taglie, “chill va pazz pe te” come soundscape dei vicoli e “na bott” che scoppia di tanto in tanto nel cielo azzurro sono la colona sonora della città del Vesuvio. Porta Capuana è uno dei punti nevralgici di Napoli, della sua vita, dei suoi suoni e del suo chiasso. Così chiamata, forse perché orientata verso Capua, forse per la presenza nella zona della famiglia Capuano, la porta era uno degli ingressi alla città; qui si sviluppò il quartiere latino che, mi spiace deludere tutti i salseri, era il luogo dove gli intellettuali si incontravano e parlavano di arte, di letteratura e di scienza ma Porta Capuana era anche il luogo dove fermarsi a gustare la zuppa di “purpo” più buona dell’intera città, che veniva servita in una tazzina con il tentacolo del cefalopode in bella mostra. Si può decidere di entrare o di uscire da Porta Capuana ma si avrà sempre e comunque ricevuto in dono un pezzo di Napoli, quello del quartiere Carbonara, dei suoi riti, delle sue filosofie e della sua storia. Come la scritta sbiadita, quasi fossimo in una foto in bianco e nero, presente su un muro, vicino la chiesa di Santa Caterina a Formiello: “Lanificio” perché in uno dei chiostri della chiesa c’era una volta la filanda borbonica appartenuta alla famiglia Sava. Oggi qui sorge un meraviglioso spazio riconvertito, il Lanificio 25, che ospita atelier, fabbriche made in Sud, eventi di musica live, mostre d’arte contemporanea, rassegne teatrali e kermesse di danza. È doveroso soffermarsi a guardare anche le vecchie cinta murarie che partono da Porta Capuana per vedere come, quando c’era fame di metri quadri e ancora non c’era l’omino Tecnocasa in giacca e cravatta modello testimone di Genoa, che i napoletani occuparono anche quelle. Le mura di Napoli erano infatti due setti paralleli e coperti con uno spazio di circa sette metri l’unodall’altro. Non mancava dunque nulla per farne una casa; bisognava semplicemente trapanare qua e là per ottenere porte e finestre. Questo è evidente lungo la strada dei fossi, oggi via Cesare Roseroll, dove uno dei pochi bastioni lasciato libero è quello di San Michele vicino la chiesa di Gioacchino che fu costruita grazie ad una colletta popolare. La torre è in realtà un’ottima prova per controllare gratuitamente  le diottrie dei propri occhi perché è ricca di misteriose incisioni lapidiche da localizzare. Da lì, la strada per la chiesa di San Giovanni a carbonara è davvero breve. La chiesa sorge su un antico inceneritore medioevale e fu costruita grazie alla donazione di un nobile. Fu fatta poi ampliare da re Ladislao; bellissima è la scalinata sanfeliciana ma ancora più suggestivo è l’interno a navata unica con il mastodontico monumeto funerario in stile gotico che Giovanna la pazza volle dedicare a suo fratello Ladislao che morì avvelenato da una donna. Ed intanto là fuori gli automobilisti imprecano con le mani incollate ai clacson perché devono fare ambress, i motorini sgommano e… chill va pazz pe te in sottofondo.

Lascia un commento